L'antropologo di Cambridge analizza i motivi della supremazia economica dell'occidente. Sfatando molti luoghi comuni.
La parola compare per la prima volta in un racconto di Thackeray del 1884, quasi contemporaneamente a Marx. Ma il fenomeno ha origini più antiche.
Scintille di capitalismo.
La parola "capitale" esiste da molto tempo. Il suo impiego nell'acezzione di richezza commerciale (dei mercanti), di cui si avvale per accumulare ancora più ricchezza, risale risale all'inizio del XVIII secolo (1709). Ma il concetto di "capitalista" è databile solo alla fine di quel secolo, quando, dopo la Rivoluzione industriale, lo troviamo utilizzato da ArthurYoung (1792) nella sua relazione sui ricchi francesi che pagavano poche imposte dirette. Nel 1845 Distraeli, in Sybil, descrisse la povertà delle masse in un periodo in cui "i capitalisti prospera[va]no e accumula[va]no immense ricchezze". Il termine "capitalismo", riferito a un sistema generale, compare nel racconto La famiglia Newcome (1854) di Thackeray, nello stesso momento in cui la nozione veniva accolta e approfondita da Karl Marx. Fu Marx a sviluppare il concetto: "La circolazione delle merci è il punto di partenza del capitale". La produzione delle merci e la loro circolazione sviluppata, ossia il commercio,formano le premesse storiche del suo sorgere. Il commercio mondiale e il mercato mondiale iniziano nel XVI secolola storia moderna del capitale". Secondo Marx è possibile rintracciare la produzione capitalistica già nel XIV e XV secolo, ma "l'era capitalistica data solo al XVI secolo". Marx sostiene che il capitale commerciale, di per se stesso, non è in grado di spiegare la transizione da un modo di produzione a un altro, nonostante tra i suoi effetti, ci sia quello della dissoluzione del feudalesimo. Tuttavia, quando emergono mezzi di produzione alternativi, come è accaduto con l'avvento dell'industrializzazione, il capitale mercantile si rende disponibile - si pensi, tra gli altri, al caso dell'India del XIX secolo - a essere investito nel nuovo assetto. Attraverso questo tipo di investimento, si ebbe un trasferimento generale della produzione tessile fondata sul lavoro a domicilio alla lavorazione in industrie meccanizzate, con operai salariati, in gran parte finanziati dal capitale mercantile. Fu la combinazione dei due fattori, il capitale (non solo dei mercanti) e i nuovi mezzi di produzione, a determinare il cambiamento. Prima che quest'ultimo si verificasse, ma in seguito a un incremento dell'attività commerciale, si ebbe un periodo, studiato da Marx, in cui, tra il XV e il XVII secolo, il mondo feudale era ormai in crisi e quello industriale non era ancora sorto. E' un periodo caratterizzato dal predominio dei commercianti e della cultura mercantile, manifesto in quella che Nef chiama la "Prima rivoluzione industriale" (databile intorno al 1540-1640), al quale ci si riferisce spesso con il termine di "capitalismo mercantile". L'analisi di Marx sulle origini e lo sviluppo del capitalismo si basa essenzialmente sull'esperienza europea. Sono stati i servi della gleba medioevale a dare origini ai cittadini privilegiati, dai quali si è poi sviluppata la borghesia. Il capitalismo è stato più genericamente messo in rapporto con il ceto borghese, non solo con i commercianti; un ceto che, tanto in Europa quanto in Asia, comprendeva o una classe subordinata all'interno di società preesistenti o un settore dominante grazie all'espansione delle attività commerciali e delle competenze culturali. Questo sviluppo venne favorito dalla scoperta dell'America, con i suoi metalli preziosi e, più tardi, con i suoi prodotti agricoli, dalla circunavigazione di Capo Horn e dagli scambi commerciali. Sono stati i mercati in ascesa, interni o esterni, a dare l'impulso alla produzione industriale. La trasformazione nel modo di produzione si basò sull'accumulo del capitale alimentando l'importazione di materiali preziosi dall'America e dai profitti del commercio, compreso quello coloniale "E' certo", scrive Marx nel Capitale, "che nel XVI e XVII secolo le grandi rivoluzioni verificatesi nel commercio dopo le scoperte geografiche, e che celermente portano a un alto grado di sviluppo il capitale commerciale, rappresentano un momento di basilare importanza, già che resero più rapida la transizione dal modo di produzione feudale a quello capitalistico".
Una tale espansione del commercio (a eccezione di quello coloniale) non era una prerogativa esclusivamente europea, anche se la sccessiva trasformazione in produzione industriale fu inizialmente limitata all'Europa. E più tardi fu l'adozione delle macchine, non il commercio, a produrre unaumento della forza lavoro priva di mezzi di mezzi di produzione propri.
Altri hanno ritenuto un aumento elemento fondamentale sia consistito nell'organizzazione della forza lavoro. Secondo la definizione di Runciman, il capitalismo nasce quando "un lavoro formalmente libero è reclutato per un occupazione regolare da inprese in espansione, che si confrontano nel mercato del profitto". In teoria, un lavoro formalmente libero è riscontrabile in diverse circostanze: in un sistema economico il passaggio al capitalismo ha luogo quando si ha il predominio del lavoro salariato. La contrapposizione, ovviamente, è con il lavoro subordinato, servile e persino con quello degli schiavi, proprio dei sistemi sociali precedenti. Ma il fatto di chiamare il lavoro capitalista, o industriale,"libero" è in un certo senso fuorviante. Nelle società rurali preindustriali, e soprattutto in quelle che praticavano l'agricoltura "della zappa", il lavoro era molto "più libero". A complicare il concetto di capitalismo interviene il problema, tutto europeo, del suo sviluppo sulle ceneri del "feudalismo", definizione in termini di possedimenti e di sistemi di gestione agricola. Gli studiosi occidentali che hanno affrontato la trasformazione tendono a esaminare l'economia precedente dal punto di vista dei signori feudali e delle loro relazioni con la popolazione rurale: è proprio così che il feudalesimo è stato descritto. Indubbiamente, la popolazione agricola era largamente maggioritaria. Ma non dobbiamo trascurare l'altra parte della popolazione dell'epoca, che era in qualche modo coinvolta in complessi rapporti di produzione o di scambio. Già a partire dalla rivoluzione urbana dell'Età del bronzo, alcuni centri, e i loro abitanti, hanno intrapreso attività in settori specifici, le quali hanno poi inevitabilmente portato alla creazione e allo scambio di beni e servizi con altri beni e servizi, o meglio, con danaro, sulla base di valore di scambio, utilizzato per procurarseli con metodi diversi rispetto a quelli con cui ci si avvaleva nelle campagne. Nelle città nessuno è autosufficiente: nessun uomo, o nessuna donna, è un isola. Alcuni di questi scambi avevano luogo all'interno della comunità urbana, altri con il settore rurale, o all'interno di esso, e altri ancora completamente al difuori, è il caso soprattutto di quelli riguardanti il commercio di generi di lusso. Qualsiasi controllo politico potesse essere esercitato, doveva comunque sussistere un elemento di mercato, perchè, in qualche modo, le entrate dovevano compensare le spese: insomma, doveva esserci un qualche calcolo dei profitti e delle perdite. Lo storico dell'economia indiano Habib scrive: "possiamo accettare come fatto univesale che,
quando si sviluppa una società agricola, cominci anche lo scambio interregionale di alcuni prodotti agricoli, e che su questa base, ancor più sulla base del prelievo del surplus delle campagne, finisca per emergere un economia urbana"
Continua....
[Modificato da cane...sciolto 23/09/2005 22.22]
[Modificato da cane...sciolto 23/09/2005 22.25]