Ortese: Napoli contro il Male

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
vanni-merlin
00domenica 24 settembre 2006 23:48
Esce un carteggio inedito della grande scrittrice: il Meridione, il compito degli intellettuali, la dimensione religiosa


Ortese: Napoli contro il Male


Un documento importante per comprendere una stagione letteraria ma anche un vero e proprio «breviario» di riflessione


Di Anna Maria Ortese

Quando Elio Vittorini, nel 1953, legge Il mare non bagna Napoli, il libro che farà conoscere Anna Maria Ortese ai lettori, scrive a Calvino: «L'Anna Maria Ortese ha finito il libro su Napoli. Mi sembra ottimo, specie lo scritto che lo conclude trattando dei letterati napoletani e della vita delle loro case, tutto con nomi e cognomi. Vedrai». E proprio quest'ultima parte sarà destinata a segnare una rottura tra la scrittrice e l'ambiente intellettuale della città di cui lei stessa aveva fatto parte. Una questione ancora aperta che ora viene riproposta dalla pubblicazione delle intense lettere intercorse tra la Ortese e Pasquale Prunas, uno dei ragazzi del Monte di Dio, animatore di una rivista, «Sud», che nel primo dopoguerra è stata uno straordinario laboratorio dei talenti che operavano nella città partenopea. La Ortese arriva nella grande casa della Nunziatella nel 1946. Così la ricorda Renata Prunas, la figlia di Pasquale, che ora cura per Archinto la pubblicazione delle lettere di quel periodo tra la scrittrice e suo padre, ritrovate nel suo archivio: «Rovinosamente timida, si diceva di lei, ma anche intransigente nel pretendere un aiuto, un soccorso immediato, una sigaretta, un chicco di caffè per non disturbare, una matita, almeno quella, per poter scrivere, l'Olivetti è rotta». E l'incontro tra Renata e Anna Maria, avvenuto alla metà degli anni Ottanta, dopo anni di distanza e di silenzio, a causa di quell'ultimo capitolo del suo libro, diventa una specie di riavvicinamento, un ritornare alla verità di quegli anni, con lei, la Ortese che chiede: «Dimmi la verità, Pasquale mi ha odiato? Come Luigi, come Rea?». E aggiunge la sua verità, rispetto al quel lontano 1953:«Ti prego, ti prego non fui io a voler mettere i nomi dei miei amici nel libro, fu Vittorini, fu lui che me lo impose. Lui aveva le sue ragioni, ma io?, così li ho persi tutti, ho perso Napoli, per sempre! Ora ti rivedo, cara Renata, ed in me tutto riaffiora. Chiedo perdono a te se ho fatto del mal e a Pasquale, a voi tutti. Non importa se è passato tanto tempo, voglio farlo con te, ora». Il libro restituisce alla Ortese la sua Napoli, colta in presa diretta, con i suoi umori, con la sua volubilità di anima nomade, soprattutto con la forza di una grande umanità che in alcune lettere si rivela assoluta, quasi profetica e definisce la bellezza di questa raccolta, come uno dei libri più veri, aperti sul mondo della Ortese, qualcosa che lo accomuna a quella lucida e vibrante passione che emerge dagli scritti di viaggio raccolti da Luca Clerici. Il mondo visionario della Ortese qui si apre alla sua figura di donna raminga e indifesa, tratta in una dolorosità di vita, lucida nel leggere la realtà anche attraverso la sua ansia spirituale. Tra tormenti e stordimenti continui, con un unico punto fermo, quello di Pasquale Prunas, la sua rivista, sorta di ancora di salvezza, tanto che gli scrive: «Non puoi credere come a Napoli, tu solo, povero Pasquale, rappresenti la casa… Sii sempre mio fratello». E quando si trasferisce a Milano la nostalgia per Napoli diventa dolorosa, la forma di un'assenza venata dalla crudeltà. Ci sono gli incontri, gli aneddoti, gli scrittori che entrano ed escono in queste lettere da Domenico Rea a Maria Bellonci, ma ciò che più colpisce è l'apertura che in certe missive fa di sé ed è ciò che rende questo libro, non solo un documento importante per ricostruire una stagione letteraria particolare, ma anche un vero e proprio breviario di riflessione. Si prendano ad esempio le lettere che scrive a Prunas nell'agosto 1948, «in una grossa Milano», dove si può essere coperti «dal mantello dell'ironia» o circondati da ombre che per lo meno sono nuove. Discute, dibatte sulla lotta di classe, con la sensazione di avere una brutta faccia da reazionaria. Non la convince l'idea di una lotta di classe che sia fondata solo sul valore economico: per lei deve coinvolgere l'uomo, la sua universalità, contemplare il valore e l'essere assoluto delle ombre: «Io n on posso sentire la lotta di classe se non in funzione di quella contro il Male (bisogna proprio chiamarlo con lettere maiuscole) ch'è tanto, è solo in parte dovuto al fattore economico, in gran parte dipende invece da cose più grandi di noi, misteriose quanto difficili ad intendersi». E il segno di questo libro è proprio la dimensione di un'appartenenza ad una dimensione più larga, inconoscibile, la vita intesa come una visione che riveli, in pratica, la ragione della sua letteratura e della grandezza di alcuni suoi libri.

Alla luce del Sud
Archinto
Pagine 158. Euro16,00




da: www.avvenire.it/

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:07.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com