Pellegrino nacque a Forlimpopoli nel 1820 dove la famiglia gestiva un’avviata drogheria. Unico maschio di 8 figli, venne mandato prima in seminario e poi all’università di Bologna. Gli Artusi, dopo un tristissimo fatto di brigantaggio subito ad opera del leggendario Passator Cortese, si trasferirono a Firenze. Qui Pellegrino divenne banchiere e si arricchì quel tanto che gli permise di liberarsi dall’obbligo del lavoro per il resto della vita. Dal quel momento si dedicò alla letteratura, pubblicando a proprie spese alcuni saggi. All’età di sessant’anni scoprì la gastronomia, decidendo di applicarvisi con criteri scientifici. Creò un’autentica cucina sperimentale dove, con l'assistenza della cuoca toscana Marietta Sabatini e del "servente" forlivese Francesco Ruffilli, provò e riprovò varie ricette, raccogliendo appunti, idee, aneddoti e riflessioni. Finalmente, con tutto questo materiale, stilò un ricettario che pubblicò a proprie spese: “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" (1891), composto di 790 ricette, dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti (anzi "principii"), secondi e dolci.
All’inizio il libro, definito dall'Artusi "manuale pratico con il quale basta si sappia tenere un mestolo in mano", non incontrò l’interesse degli acquirenti, costringendo l'autore a regalarlo agli amici. Poi l’opera conquistò il pubblico, tanto da diventare dopo numerose ristampe il testo gastronomico dell’Italia unita. Piero Camporesi nell’introduzione alla “Scienza in cucina...” (Einaudi, 1991) dice che il manuale artusiano, assieme al “Pinocchio” di Collodi e al “Cuore” di De Amicis, è uno dei capisaldi della cultura italiana ottocentesca.
Animato dagli ideali borghesi di decoro, moderazione e buon gusto, ebbe il grande merito di imporre, per la prima volta, una visione unitaria ed economica della cucina italiana.
Selezionando dal ricchissimo patrimonio gastronomico delle varie regioni e dalla produzione libresca del passato, Artusi propose un modello di cucina nazionale che si impose come punto di riferimento obbligato.
Crostini di fegatini di pollo, spaghetti col pomodoro, gnocchi, risotto alla milanese, vitello tonnato, scaloppine al marsala, crostate di frutta e zuppa inglese, sono alcuni dei piatti che Artusi riuscì ad imporre dal Piemonte alla Sicilia come “piatti nazionali”.
In particolare fu proprio Artusi a canonizzare il binomio “pasta-salsa di pomodoro”: prima di lui in nessun altro manuale di cucina si trova quello che sarebbe diventato il piatto simbolo della cucina italiana.