Credente
00lunedì 26 novembre 2012 22:56
dal blog: http://savinopezzotta.wordpress.com/
La mia riflessione si è concentrata su alcuni documenti e sul tema del lavoro e mi sono reso conto come, in questi tempi di crisi e di difficoltà sociali ed economiche, l’ausilio della Dottrina sociale si rileva importante e per molti versi stimola e conforta , sicuramente alimenta speranze, ovvero mantiene viva quella tensione verso il futuro e non ci fa arrendere al presente. Nella Caritas in Veritate (29 giugno 2009), per riferirmi a un documento recente, Benedetto XVI scrive che i poveri, in molti casi, sono il risultato della violazione della dignità del lavoro umano,sia perché ne vengono limitate le possibilità ( disoccupazione, sotto-occupazione, precarietà , lavoro nero ), sia perché vengono svalutati i “ diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia“ (§ 63).
Citando il suo predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, che tramite la “ Laborem Exercens “ aveva rilanciato la riflessione della Chiesa sul lavoro, ricorda come, in occasione del Giubileo dei lavoratori -1° Maggio 2000- avesse con forza sollecitato l’Organizzazione internazionale del lavoro ( Ilo) a portare avanti con determinazione l’impegno per un lavoro dignitoso e decente.
Il lavoro nella storia dell’umanità non è sempre stato rispettato ed è anche stato considerato attività indegna dell’uomo libero,è stato sfruttato tramite la schiavitù e il servaggio, e non possiamo dimenticare che la nascita del capitalismo ha comportato molte sofferenze che hanno pesato sui minori, sulle donne e gli uomini al lavoro.
I cristiani nel corso della storia hanno più volte peccato nei confronti del lavoro e delle persone al lavoro, ma il cristianesimo nel mantenere vivo il riferimento all’uomo come immagine di Dio ha consentito che la speranza di un modo migliore e libero di lavorare non fosse annichilita, e, nei tempi moderni, l’azione sociale e sindacale dei cristiani che hanno operato alla luce del Vangelo e l’insegnamento del magistero hanno operato con altri uomini di buona volontà per ripristinare la dignità di ogni tipo di lavoro.
Giovanni Paolo II nella Laborem Exercens ha affermato che l’uomo è il “soggetto” del lavoro, e che non può per questo essere ridotto a mero fattore dell’economia “Non c’è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso.” (§6).
Qualsiasi attività lavorativa ha un “valore etico” in se stessa , nel semplice fatto che venga compiuta, poiché è. attraverso il lavoro che l’uomo “trasforma la natura adattandola alle proprie necessità”. . “ A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è «per l’uomo», e non l’uomo «per il lavoro». Con questa conclusione si arriva giustamente a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo. Dato questo modo di intendere, e supponendo che vari lavori compiuti dagli uomini possano avere un maggiore o minore valore oggettivo, cerchiamo tuttavia di porre in evidenza che ognuno di essi si misura soprattutto con il metro della dignità del soggetto stesso del lavoro, cioè della persona, dell’uomo che lo compie. A sua volta: indipendentemente dal lavoro che ogni uomo compie, e supponendo che esso costituisca uno scopo – alle volte molto impegnativo – del suo operare, questo scopo non possiede un significato definitivo per se stesso. Difatti, in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più «di servizio», più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso. (§ 9)
Tornando per un attimo alle origini della moderna dottrina sociale della Chiesa, alla famosa enciclica Rerum Novarum (1891) che diede un vigoroso impulso allo sviluppo del cattolicesimo sociale indicando alcuni principi: la funzione sociale della proprietà; il compito dello stato di promuovere la prosperità pubblica e privata quando l’iniziativa dei privati non basti(qui Leone XIII anticipa di trent’anni Keynes ); il valore umano del lavoro che non può essere considerato come una semplice merce; la condanna della lotta di classe, ma al tempo stesso il diritto degli operai di associarsi per la tutela dei loro diritti. La dignità del lavoro viene presentata come l’obiettivo di fondo l’azione sociale dei cristiani, e gli interventi di valorizzazione economica del lavoro e l’equità del salario ( la giusta mercede), come le stesse condizioni di lavoro, vengono subordinate o ordinate all’obiettivo della dignità del lavoro e della persona che lavora.. Non è un caso che Leone XIII , nella valorizzazione del lavoro, affermi che il diritto al riposo, alla festa deve entrare in “qualsiasi contratto tra imprenditori e lavoratori: ”In ogni convenzione stipulata tra padroni e operai vi è sempre la condizione o espressa o sottintesa dell’uno e dell’altro riposo; un patto contrario sarebbe immorale, non essendo lecito a nessuno chiedere o permettere la violazione dei doveri che lo stringono a Dio e a sé stesso. “, (§33).
Credente
00lunedì 26 novembre 2012 22:58
Il riposo, ma soprattutto la festa è parte della dimensione dignitaria dell’uomo, ma come può fare festa una persona su cui pesa la minaccia del licenziamento o è senza lavoro e non lo trova ? Su questo si dovrebbe riflettere con maggior attenzione. Non bastano i soldi e gli ammortizzatori sociale che pure sono indispensabili a dare dignità. Il lavoro ha in se una dimensione sociale e relazionale che nessun soldo può compensare.
La Rerum Novarum fu una “botta” , un “colpo” per le tante pigrizie cristiane che accettavano la situazione generata dal primo capitalismo come ineluttabile e immodificabile. La sua uscita suscitò attenzioni e movimenti . Mi piace a questo proposito quantoGeorge Bernanos nel «Diario di un curato di campagna» fa dire dal vecchio curato di Torcy al suo giovane collega: “Rerum Novarum, voi oggi la leggete tranquillamente con l’orlo delle ciglia, come una qualunque pastorale di quaresima. Alla sua epoca, giovanotto, ci è parso di sentirei tremare la terra sotto i piedi. Quale entusiasmo! Questa idea così semplice che il lavoro non è una merce sottoposta alla legge dell’offerta e della domanda, che non si può speculare sui salari, sulla vita degli uomini come sui grano, lo zucchero e il caffè, metteva sottosopra le coscienze. Lo credi? Per averla spiegata in cattedra alla mia buona gente, sono passato per un socialista”.
Un movimento che non abbiamo avvertito con la stessa intensità quando è uscita la “Caritas in veritate”.
Prendendo spunto dal motuo proprio, Porta Fidei , con cui Benedetto XVI° ha indetto l’anno della fede che avrà inizio l’11 ottobre del 2012, e al chiaro e puntuale riferimento al Concilio Vaticano secondo assunto come punto di riferimento e all’invito che i testi dei Padri conciliari vengano letti in maniera appropriata e che vengano conosciuti e assimilati, mi sono andato a rileggere quanto dice sul lavoro la Gaudium et spes : “Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento.Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà.”
Il lavoro non è dunque un mero strumento dell’economia o una merce, ma espressione della persona umana e pertanto da esso promanano diritti e doveri “Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente, come pure il diritto al lavoro. Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente occupazione. In virtù del valore umano del lavoro il Concilio afferma che in ogni caso “ Occorre dunque adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell’età di ciascuno”
Riflettendo sulle condizioni di lavoro, il testo conciliare aggiunge: “ Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell’esercizio stesso del lavoro. (§ 67)
Oggi di fronte alla crescita della disoccupazione , alla carenza di lavoro che colpisce in particolare i giovani che possiamo dire?
Occorre affermare che proprio in tempi di difficoltà come quelli che stiamo attraversando, il rispetto della dignità del lavoro ancor più fondamentale ,e che occorre fare ogni sforzo personale, sociale, sindacale, economico e politico e,se necessario, assumersi dei sacrifici per assicurare che tutte le persone possano svolgere un’attività lavorativa dignitosa.
Sappiamo che le cosiddette leggi del mercato, purtroppo, non sempre garantiscono spontaneamente e automaticamente questo, ma non possiamo mai dimenticare quanto ha affermato ..Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus , dove con la solita chiarezza non esita ad affermare il diritto di ogni persona a poter contribuire attivamente al bene comune: ” Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono « solvibili », che dispongono di un potere d’acquisto, e per quelle risorse che sono « vendibili », in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano. È, inoltre, necessario che questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze, ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare al meglio capacità e risorse.
Credente
00giovedì 4 giugno 2015 14:43
Dottrina sociale
L' alternativa sconosciuta
di Luigi Negri
Strumento di evangelizzazione, baluardo di libertà, difesa dal totalitarismo:
la Dottrina Sociale della Chiesa è ancora poco conosciuta. Spunti per una riflessione.
Luigi Negri (Milano 1941), ordinato sacerdote nel 1972, laureato in filosofia e licenziato in teologia, insegna attualmente Introduzione alla Teologia e Antropologia filosofica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Partecipa, fin dai tempi del liceo, al movimento di Comunione e Liberazione, del cui Consiglio Nazionale è membro. Ha scritto, fra altre opere, L'uomo e la cultura nel Magistero di Giovanni Paolo // (1988); L'insegnamento di Giovanni Paolo II (1991); // Magistero sociale della Chiesa (1994); False accuse alla Chiesa (1997). Da questo numero inizia la sua collaborazione a "il Timone".
In epoca moderna si è imposto un progetto culturale, sociale e politico che ha concentrato i valori più alti (religiosi, morali, culturali, civili) nello Stato totalitario. Gli esiti sono stati, a dir poco, drammatici e funesti: basti pensare al regime marxista-leninista dell'Unione Sovietica, al fascismo italiano e al nazismo tedesco. Non v'è da stupirsi più di tanto se tale progetto, sostanzialmente ateistico, consideri la Chiesa una scomoda presenza, una acerrima nemica da relegare all'opposizione, limitare nella libertà o, nei casi estremi, persino da eliminare.
Ciò premesso, si comprende bene come la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) nasce, innanzitutto, dalla sua consapevolezza di rappresentare una concezione cristiana e cattolica "tradizionale" che vuol farsi presente concretamente, in aperta dialettica con quella laicista "moderna" e contemporanea. Proprio con la DSC, la Chiesa si assume il compito di affermare l'esistenza di un modo diverso di considerare la persona umana, la ragione, la famiglia, la società e lo Stato.
È compito della Chiesa affermare con chiarezza e sostenere con forza quella visione dell'uomo e della realtà, attestata da una tradizione di fede due volte millenaria e radicata addirittura nella Rivelazione divina in Cristo. E poiché nella politica si gioca l'intera visione dell'uomo, è ovvio che la Chiesa subisca l'attacco da parte di chi vuole imporre un progetto totalmente estraneo alla sua. Resta il fatto che la DSC è il più serio tentativo della presenza missionaria della Chiesa: essa mira a far incontrare con la fede l'uomo concreto, con le sue problematiche storiche, personali e sociali. Se non l'avesse fatto, avrebbe vanificato la fede e tradito l'uomo. La DSC attinge dalla Sacra Scrittura, "utile - scrive san Paolo - per insegnare, convincere, correggere e formare, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opere buona" (2 Tim 3,16). E la Tradizione vivente della Chiesa trova nelle Parola scritta insegnamenti fonda mentali che riguardano la persona umana e la sua irrinunciabile dimensione sociale.
Pur tenendo conto dei diversi contesti socio-culturali nei quali si sono venuti a trovare il popolo dell'Antica Alleanza, Gesù e la Comunità primitiva, il teologo morale trova nella Legge, nella Profezia e nella Sapienza, contenute nella Parola rivelata e nella Tradizione ecclesiale, molti punti acquisiti e qualificanti il Magistero Sociale della Chiesa. Gli esempi non mancano: la sacralità di ogni persona creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua natura sociale, la carità come legge nuova del discepolo che perfeziona la giustizia; l'esigenza di spazi adeguati per vivere liberamente la propria sequela di Cristo anche con tutti i fratelli della comunità ecclesiale; la dignità e i significati del lavoro, la destinazione universale dei beni e il diritto di proprietà; il primato del Regno di Dio nei confronti di ogni realtà o istituzione terrena, la reale possibilità della Chiesa di svolgere la sua missione dando a Dio quel che è di Dio, ecc.
Dunque, come si può ben intuire, la DSC si radica nella specifica missione evangelizzatrice della Chiesa e costituisce strumento imprescindibile e parte integrante della "nuova evangelizzazione".
La DSC appartiene all'ambito della teologia morale, riceve la sua originale identità dalla Rivelazione stessa e assume da questa peculiare disciplina teologica fonti e metodo.
Ne consegue che i principi di riflessione, le direttive d'azione, i criteri di giudizi contenuti nella DSC non appartengono, dunque, al campo ideologico delle elaborazioni, teorie o sistemi socio-politici; e non forniscono soluzioni tecniche ai problemi sociali di ogni tempo e luogo. Essa consiste, insegna Papa Giovanni Paolo II, nella "accurata formulazione dei risultati di una attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo e della società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o la difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente: per orientare, quindi, il suo comportamento cristiano" (Sollicitudo rei socialis, 41).
Si può capire facilmente, allora, come la DSC, già contenuta nell'insegnamento apostolico e senz'altro in quello dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali, si è sviluppata con il susseguirsi degli avvenimenti storici. Per sua natura poi, essa realizza la sua efficacia storica nella misura in cui tutta la comunità ecclesiale diviene responsabile testimone della rilevanza sociale del Vangelo: "Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2422).
Anche in questo campo, infatti, è accertata convinzione della Chiesa che la "natura" e la "grazia", la "ragione" e la "fede" non si contrappongono, ma si esigono, si illuminano e si rafforzano a vicenda.
Le società mutano in continuazione, ma la Chiesa non può rinunciare ad essere presente ed esercitare la sua missione. In tal senso, la DSC altro non è che uno strumento della sempre "nuova evangelizzazione", che mira a far si che ogni uomo possa trovare in Cristo la propria verità e salvezza. Alla "nuova creatura", nata dall'incontro con Cristo, è dato anche un nuovo orizzonte di conoscenze e di azione, entro il quale potrà dare soluzione anche ai suoi problemi sociali; non senza una seria elaborazione culturale e in costante corretto dialogo con ogni uomo di buona volontà.
Purtroppo, nella rigorosa scristianizzazione operata nella società moderna e contemporanea, l'Avvenimento salvifico cristiano è stato sistematicamente sostituito con la concezione dell'uomo che basta a se stesso e che si realizza in un "progetto ateistico" (Centesimus annus, n. 23).
A tale impostazione antropologica non potevano che opporsi gli interventi del Magistero ecclesiale dell'ultimo secolo. L' hanno fatto con la denuncia e con la proposta; seguendo un metodo più deduttivo o più induttivo, esortando al discernimento e a partire dall'uomo. L' hanno fatto ribadendo punti fondamentale che costituiscono un "corpus" articolato e organico di tutto rispetto. Li richiamiamo in estrema sintesi.
In primo luogo: priorità della persona sulla società. La persona umana consiste ed è ben definita solo a partire dal suo rapporto con Dio, al quale è naturalmente aperta e del quale è creata immagine e somiglianza. Creata per se stessa, non può mai essere ridotta a mezzo; ha dignità infinita, è soggetto di diritti inalienabili; deve restare alla radice, al centro e al vertice di ogni forma di socialità. Dall'incontro con Cristo, la persona riceve una novità ontologica e un nuovo principio di conoscenza e di azione. Tutto ciò evita che sia ridotta a frammento della materia fisica o a numero anonimo di qualsiasi collettivismo. Le situazioni culturali, socio-economiche e politiche, dei diversi tempi e luoghi, poco o tanto la condizionano; ma non la determinano mai del tutto. Con la sua libertà creativa intrattiene relazioni e costruisce una società al suo servizio.
Una società e uno Stato sono realmente democratici nella misura in cui riconoscono e si pongono al servizio della libertà di questo tipo di uomo, e innanzitutto della libertà di professare anche comunitariamente la propria religione.
In secondo luogo: preminenza della società sullo Stato. La persona umana per sua natura è anche un essere sociale, data la sua innata indigenza e la sua connaturale tendenza a comunicare con gli altri. Ne consegue che per la crescita integrale della persona è necessaria la partecipazione e l'integrazione sociale; ma qualsiasi forma di società civile deve restare sempre al servizio della persona.
Le persone si esprimono e crescono, dando liberamente origine a diverse forme di società dette "organismi intermedi": famiglia, associazioni e forme di cooperazione educative e lavorative, enti locali, ecc. Il potere politico, il diritto e le strutture economiche sono al loro servizio e ne integrano le insufficienze in vista del bene comune.
Ne deriva che lo Stato liberale non deve confinare nella sfera privata e individuale i valori etici, religiosi, ideali del cittadino; lo Stato totalitario non deve asservire, concentrare, dominare ogni valore ed iniziativa sociale; lo Stato sociale, del benessere, assistenziale, non può tollerare un vuoto istituzionale, giuridico e politico.
In terzo luogo: la Chiesa non è subordinata allo Stato. La sbandierata formula "libera Chiesa in libero Stato" è servita, di fatto, ad intendere la distinzione e la separazione della Chiesa dallo Stato come assorbimento della Chiesa nello Stato. Lo Stato liberale (e ancor più quello totalitario) ha preteso di concedere diritto ad esistere e di normare ogni espressione ed opera esterna e sociale del popolo cristiano. La Chiesa è stata ridotta ad una funzione pedagogica e morale, sempre all'interno dello Stato, come parte integrante di esso, come "strumento del regno". Ciò è avvenuto dai tempi di Machiavelli, della formula "cuius regis, eius et religio", della Costituzione civile del clero, dei recentemente caduti regimi dell'Est europeo, ecc.
La Chiesa ha sostenuto la distinzione tra Chiesa e Stato dai tempi del Decreto di Papa Gelasio I (+ 496) al Concilio Vaticano II. La dimensione religiosa e quella politica non sono realtà omogenee. Quella religiosa appartiene alla libertà di coscienza delle persone; non tocca mai allo Stato laico stabilire cosa si deve credere o modificare, tanto meno impedire di professare la propria fede. Se ciò avvenisse, il cristiano è tenuto ad obbedire prima a Dio che agli uomini (cfr At 4, 19). Sostenendo questo la Chiesa ha rappresentato in questo ultimo secolo la più tenace alternativa al totalitarismo di Stato, teorizzato e tragicamente realizzato. Sono in molti, pertanto, a doverle gratitudine.