Dai nuraghi ai giudicati alla Silicon Valley senza soluzione di continuità

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centrosardegna
00martedì 8 maggio 2007 14:58
Esiste un ostacolo alla nostra capacità di produrre un’analisi seria del nostro passato, della situazione attuale dell’Isola, delle sue prospettive future. Esso è rappresentato dal prevalere, su tutto, della questione identitaria.
Viviamo in un’epoca di ‘sardismo pervasivo e trasversale’ a tutte le correnti di pensiero critico, alle ideologie, alle metodologie di ricerca scientifica, alle capacità di programmazione dei soggetti politici.
Lo stesso modo di auto-rappresentarci caratterizza sia le manifestazioni dell’estremismo nazionalistico e indipendentista sia gli atteggiamenti del sardismo moderato. Nessun sardo che si rispetti se la sente di commettere il peccato di lesa patria.
Dall’Italia, dall’Europa, dal mondo gli ‘amici della Sardegna’ incoraggiano questa nostra propensione al narcisismo culturale. Gastronomia, bellezza del paesaggio, novità letterarie e musicali vengono assimilate e tutte ricondotte ad un forte sentimento identitario.
Le capacità di giudizio oggettivo e disinteressato, capace cioè di frapporre la giusta distanza critica fra sé e l’oggetto del giudizio risulta perciò offuscata dall’eccesso di autostima. E ciò vale per il passato come per il presente..
Un passaggio originale della preistoria, la civiltà dei nuraghi, è stato sottratto alle corrette coordinate storiche per divenire, una volta e per sempre, testimone di una vocazione “resistenziale” nei confronti del resto del mondo; una originale esperienza di autogoverno dell’Isola, quella dei Giudicati, viene ridotta, nelle favole e nei racconti storico-letterari, a manifestazione di un medioevo fantastico, linguisticamente utile alla promozione pubblicitaria, e viene proiettata, senza soluzione di continuità, sulla prima.
E ciò senza una precisa ricostruzione e valutazione delle distanze storiche, senza colmare in vuoti prodotti dalle lunghe dominazioni con il silenzio della sottomissione e l’assenza della scrittura.
Tutte forme, queste, di semplificazione che rendono difficile da comprendere ed accettare sia i difetti antichi quali la frammentazione, linguistica, economica e sociale, sia gli effetti dei mancati appuntamenti con la storia: la filosofia dell’Illuminismo, la rivoluzione industriale, la modernità, la complessa arte e letteratura del Novecento più problematico.
Pronti, semmai, i sardi ad esaltare come epiche vicende fatti storici minori (vedasi sa die de sa Sardigna) o, persino, autolesivi, come il massacro dei francesi al Margine Rosso e la conservazione del trono all’imbelle dinastia dei Savoia. Pronti a confondere la secolare arretratezza con un segno forte di identità come il riconoscimento (peraltro molto chiacchierato) della ‘pastoralità’ barbaricina nel patrimonio dell’Unesco. O a mancare di curiosità sugli usi futuri dei beni rivendicati allo stato centrale (basi militari dismesse, beni minerari inutilizzati, tutela del paesaggio e del territorio, ecc) stretti nella morsa fra sindaci cementificatori e sostenitori del turismo a cinque stelle gestito dalle multinazionali.
Bolle speculative e fortunate operazioni finanziarie fanno favoleggiare una classe dirigente locale, sempre meno credibile e sempre più lontana dai problemi reali dei sardi, di una Silicon Valley nostrana frutto della ormai più dimessa, rispetto a quindici anni fa, nuova economia e in perfetta sintonia con la produzione di pecorino sardo, di malloreddus, di cannonau.
Nel frattempo, una fortunata stagione e una piccola ma diffusa editoria fanno proliferare i testi di storia locale ma soprattutto la scrittura di romanzi gialli e neri che ben si coniugano con la ricostruzione storico-fantastica che tanto contribuisce ad alimentare un’idea di Sardegna come terra di favole e misteri, disperatamente alla ricerca di una lingua unitaria, magari artificiale (limba de mesania), che, accomunata ad un uso sapiente del pastiche linguistico può anche servire, in tempi di mediocre letteratura, a far vincere i premi letterari nazionali.
Il discorso potrebbe continuare. Quanto detto basti ad indicare che un impegno serio sull’identità è ancora da costruire. E senza sconti per nessuno.
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