Cara Unione, senza laicità non c’è futuro

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(Upuaut)
00sabato 21 gennaio 2006 20:58
Cara Unione, senza laicità non c’è futuro
di Gianni Cuperlo Barbara Pollastrini

Esattamente una settimana fa Milano e Roma sono state teatro di due manifestazioni che molto hanno detto sui sentimenti e le aspirazioni di tante persone. A Piazza del Duomo in centocinquantamila hanno difeso una legge che azzerando la piaga dell'aborto clandestino ha restituito dignità e autonomia alle donne e civiltà a tutto il paese. Nello stesso momento a Piazza Farnese altre migliaia rivendicavano per le unioni di fatto i diritti che oggi una legislazione monca nega a milioni di coppie eterosessuali e gay. Quel che legava i due eventi era un comune sentire.

L'idea di un impegno necessario su grandi questioni di principio e di cittadinanza tornate con forza al centro della politica. Letto così, quel pomeriggio rappresenta una scintilla, per altro coltivata, di una partecipazione che spesso in questi anni è riaffiorata quando le persone hanno sentito aggredita la propria autonomia e le proprie convinzioni profonde. In tanti - questo è il segnale inviato - non si rassegnano ai diktat o a precetti anacronistici. A Milano un fiume di donne come non accadeva da anni, e con loro molti uomini, ha manifestato non solo per ”difendere” una legge giusta che c'è, ma per un orizzonte più ampio, un lavoro di qualità, un altro welfare, il diritto a una maternità tutelata. A Roma altri hanno manifestato per una legge giusta, quella sui Pacs, che non c'è ancora. La realtà è che entrambe le piazze rivelano una sensibilità consolidata sul terreno dell'eguaglianza dei diritti e della laicità dello Stato.

Lo hanno dimostrato con una solarità ma anche una convinzione morale preziose soprattutto per noi - la sinistra riformista - impegnati in questi anni a immaginare un nuovo umanesimo sociale e una innovazione ancorata a valori di apertura e tolleranza. La stessa vicenda della fecondazione è stata, in questo senso, una scelta di campo. Se non avessimo accettato anche la sfida poi perduta del referendum sulla legge 40, oggi la nostra credibilità sul terreno della libertà, della responsabilità e dei diritti, in primo luogo per i giovani e le donne, sarebbe per lo meno offuscata. Non per caso quindi, soprattutto a Milano, il corteo è stato animato e attraversato da decine di migliaia di donne e militanti del nostro partito. Ma in entrambe le manifestazioni c'era dell'altro. Una spinta originata da una reazione culturale prima che politica nei confronti di un pensiero retrivo che, nell'Italia di oggi, mira a comprimere valori e principi fondanti. Anche in questo caso, però, guai a stupirsene. Accade sempre che a fronte di una spinta regressiva sul terreno della dignità dei singoli, la prima ad essere colpita sia la libertà femminile e con essa la sfera dei diritti umani e civili. Come sostengono i pensatori più lucidi, a partire da Amartya Sen, e come, tra i pochi commentatori in Italia, ha scritto Adriano Sofri quello che si consuma a livello globale è uno scontro profondo che vede nel ruolo e nella dignità femminile la nuova discriminante tra progresso e reazione. Forse anche per questo in entrambe le piazze c'era una trasversalità straordinaria di generazioni. Ragazze e ragazzi attratti alla politica da un confronto su valori che incidono sulla loro vita. La nostra impressione è che quel loro punto di vista, per la sua freschezza, insieme alla determinazione di generazioni più consapevoli del cammino dei diritti civili nel nostro paese, sia un patrimonio da tutelare come l'ossigeno. Ci pare insomma che in quelle piazze vi fosse qualcosa di strategico. Un pensiero laico e moderno sulla società italiana e sulle aspettative di apertura coltivate da molti. Il centrosinistra che si candida alla guida del paese deve tener conto di tutto questo e costruire un patto con le forze più dinamiche e motivate a un radicale disegno riformatore della società e delle sue regole. Insomma può vincere e trasformare il paese solo misurandosi anche con sfide culturali avanzate: i temi della ricerca, della cura e della scienza, il nesso tra libertà del singolo e convivenza, la laicità come principio del dialogo e fondamento di un'etica pubblica condivisa.

Tutto questo è la misura della nostra idea di modernità e progresso. Così come l'apertura delle porte ai giovani e alle donne è tutt'uno con l'idea di una società sbloccata, inclusiva e rigorosa nel rispetto di meriti e talenti.

Per tutte queste ragioni le manifestazioni di sabato erano anche un messaggio rivolto all'Unione, all'Ulivo e alla sinistra e alle loro leadership. Era un modo per segnalare alla classe dirigente del centrosinistra la rilevanza di questi temi. È ovvio dirlo: ciascuno ha le sue opinioni e compie le scelte che ritiene più giuste. La questione che solleviamo è diversa. Sono oppure no questi argomenti - diritti, scienza, laicità - e i soggetti che se ne fanno interpreti tra le questioni destinate a segnare l'identità di un riformismo attraente? Pensiamo di sì, anche alla luce del peso che vicende come la fecondazione, la difesa della 194, i Pacs, e con esse la querelle sulla pillola RU486, il dibattito sul testamento biologico o sul divorzio breve è venuto assumendo nelle settimane e nei mesi passati. Peso che sta a indicare il legame stretto tra la cosiddetta sfera “eticamente sensibile” - pensiamo solo all'autonomia e indipendenza della ricerca - e la crescita non solo civile ma culturale ed economica del paese. A confermare questa impressione è la violenza verbale dei nostri avversari e una certa arroganza culturale di settori delle autorità ecclesiastiche. Reazioni per altro che inducono una parte del paese a ritrovare proprio su questi terreni identità e appartenenza in una stagione involgarita dai veleni della destra.

Su queste basi può farsi più stimolante e fruttuoso il confronto con quella parte vasta dell'universo religioso e cattolico che non condivide un ripiegamento su posizioni arroccate e in conflitto aperto con la modernità. E quindi una risposta agli interrogativi sollevati può caricare ancora di più le stesse elezioni di una tensione culturale e di una speranza di cambiamento. Da questo punto di vista sbaglieremmo a considerare l'attivismo di Pera, Casini o Storace, e con essi la linea editoriale di alcune testate, come elementi residuali di una neo strategia conservatrice. Ma tanto più nel nostro campo peseranno parole, coerenze, impegni programmatici e una battaglia delle idee alla quale la sinistra non può né deve rinunciare. Perché a queste scelte guarderanno in tante e in tanti.

Con entusiasmo e fiducia, ma senza sconti. E allora la stessa parabola del futuro partito democratico non può eludere alcune questioni. Da un lato l'idea di progresso e la qualità della modernità. Dall'altro, le forme democratiche e diffuse con le quali sensibilità, culture e persone diverse parteciperanno alla costruzione del nuovo soggetto. Sarà un lavoro complesso e ricco di stimoli, che non si esaurirà soltanto in una fondamentale azione di governo ma che avrà bisogno di un confronto aperto ad altre forze e soggetti. Un confronto serio e rispettoso della coscienza laica di tanti credenti e non. Un confronto ampio e capace di uno sguardo cosmopolita e curioso. Se sapremo farlo - questo dicevano, tra le altre cose, le piazze di sabato - potremo tutti sentirci più solidi e accoglienti. Ne deriverà un bene per la politica, per il paese e per quella nuova classe dirigente, di donne e uomini, della quale l'Italia oggi ha bisogno.

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