Bush-Blair: «Errori» in Iraq, ma di ritiro per ora non si parla

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vanni-merlin
00venerdì 26 maggio 2006 23:58
Bush-Blair: «Errori» in Iraq, ma di ritiro per ora non si parla

P. F.

Avrebbero dovuto parlare dell'inizio del ritiro delle truppe dall'Iraq, il presidente degli Stati Uniti George W.



Bush e il suo alleato più fedele, il primo ministro britannico Tony Blair, ma nella conferenza stampa nella serata di giovedì 25 maggio a Washington, pur ammettendo di «desiderarlo profondamente», hanno ammesso che sarebbe prematuro.
I due leader che hanno guidato la presa di Baghdad non godono attualmente di grande popolarità: Blair ha un tasso di approvazione del 26% e la possibilità di un suo "passo indietro" a beneficio del canceliere dello Scacchiere Gordon Brown si fa sempre più concreta; Bush è piombato al 29% e qualcuno lo colloca persino messo in "zona Nixon" ai tempi del Watergate. Ieri sera, in quella che la stampa inglese ha definito «l'ultima visita di Blair alla Casa Bianca», hanno discusso di Iraq e delle prospettive del nuovo governo di Nouri al Maliki. Non siamo però ancora alla svolta, che consente una drastica riduzione delle truppe della coalizione.

I due leader hanno riconosciuto, anzi, «le immense difficoltà» che la missione in Iraq ancora comporta, anche dopo l'insediamento a Baghdad di un governo di unità nazionale. Hanno riconosciuto anche gli errori commessi fino a questo momento: Bush ha fatto il mea culpa per la sua leggerezza e arroganza e si è messo la mano sul cuore ricordando lo scandalo degli abusi di Abu Ghraib; Blair ha puntato il dito sul fallimento nella programmazione del dopo-Saddam, «un grande, grande errore». Il presidente americano ha provato, con la conferenza stampa nell'ora di massimo ascolto televisivo, di riconquistare la fiducia che gli americani gli hanno progressivamente tolto. Blair ha relegato il suo appuntamento con Bush nel cuore della notte britannica, quasi a voler nascondere sé stesso, il suo scomodissimo alleato e la comune ampagna, sempre più difficile da difendere.

I generali decideranno eventuali riduzioni della presenza sul campo, sulla base delle esigenze «non spetta ai politici di Washington farlo con i sondaggi in mano». Anzi: Bush ammette che il generale George Casey ha chiesto un aumento della presenza a Baghdad e che è stato accontentato inviando in Iraq militari che si trovavano in Kuwait. Ma Stati Uniti e Gran Bretagna hanno fatto e continuano a fare «la cosa giusta». La deposizione di Saddam Hussein è stata «controversa», ha ammesso Bush, «perché non abbiamo trovato le armi di distruzione di massa che credevamo di trovare» e perché, dopo la presa di Baghdad «ci sono stati passi indietro e passi falsi» e «non è successo tutto quello che speravamo». Ma quella di invadere l'Iraq è stata una «scelta giusta»: il regime di Saddam Hussein «sarebbe oggi più ricco di quel che era, e rappresenterebbe una minaccia ancora più grande».

L'impopolarità, continua il presidente americano, è il prezzo che si paga per la guerra, «per le immagini di morte e distruzione che ogni giorno arrivano dall'Iraq». Blair potrebbe pagare con il ritiro anticipato quella che Bush definisce «la costernazione per la guerra». Ma ai reporter che cercano di farlo sbilanciare risponde seccamente «Blair è una persone tenace, coraggiosa e mossa da ideali. Non datelo per spacciato troppo presto. Io vorrei vederlo al suo posto fino a quando ci sarò io». Cioè il 2009.




da: www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1915232906&chId=30&artType=Articolo&DocRulesVie...

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