Altre poesie di Aldo Oliva...
Santa Teresa d’Avila
Se la morte ha un calendario,
l’ora è poco dopo le sette di mattina,
ne prenderò nota fra trent’anni,
scegliendo possibilmente una santa
meno noiosa di questa Teresa d’Avila
che mi trovo fra le mani per
rimanere solo al mondo
e non sapere se perdonare o
chiedere perdono,
già distratto dall’azzurro non classificabile
di questa vecchia stilo
che mi macchia le unghie e le mani
e funziona a tentoni
se la morte avesse davvero
un calendario,
che me lo sussurri stanotte con certezza,
perché ho il palmo della mano
di difficile lettura
ed adesso devo andare
a ricominciare a vivere.
I parapetti della notte
"Il resto del tragitto lo
faremo domani
rimaniamo, adesso, appoggiati
ai parapetti della notte,
come veterani che aspettano
ancora la battaglia,
come ballerini appena usciti
di balera
povere ossa raccogliticce
non degnate di sguardo
neanche da un taxi
incerti se dare od avere,
mansueti od inquieti,
ora testardi, ora rassegnati,
consci di malagrazia
del dono di saper pensare parole
e della dannazione di scriverle
mentre scendiano e risaliamo
sul marciapiede da cui, fra poco,
ancora senza proprietario,
scaglieremo sassi
contro la prima ipotesi
d’aurora."
La notte della prima
"Con i piedi sul tavolo
della cucina
e nitrato d’argento negli occhi,
giochiamo ai quattro cantoni
dell’anima,
indifferenti al
cane che russa al piano di
sopra,
incapaci di rinunciare
tu al più fondamentalista dei sogni,
io ad abitare i quartieri popolari
del cuore,
movendo le dita bagnate
sui contorni reciproci dei visi
e fischiettando
El die que me quieras
appena in ritardo sulla
voce di Gardel."
Senza titolo # 1
Per bastare, basta
nonostante le coordinate sbagliate,
gli aghi inadatti
allo spessore della lana,
il labbro che trema
per bastare, basta ancora
è un tramonto privo d’astronavi,
ma con messaggi in segreteria
e morsi sottili di piacere e livore
porzioni di tempo può darsi ben speso
e polvere ormai depositata
è il dopo un cruciverba
trovato, ancora bianco,
in una vecchia
settimana enigmistica.
Asciugare il tempo
Asciugare il tempo, sì,
fino alla raccolta del grano,
finché la luce degli shrapnel
non sia un lampo nel cuore,
fino a che il mio piede
non calpesti erba pulita
asciugare il tempo
e buttar via dal finestrino
sangue ed analgesici,
finché il venerdì non sarà
più un self-service di ricordi
ed il ginocchio spezzerà il bastone,
anche persistendo un leggero zoppicare
asciugare il tempo
fino alla fine del naufragio,
finché non pioverà più dentro.
Il sentiero dei doganieri
Eccolo che ritorna,
il respiro,
mentre il sole si macchia di verde
sul sentiero dei doganieri
e la terra intorno brilla di sole,
circondando l’ossimoro
di una adrenalina quieta,
nessun sorriso volgare è dispensato
oggi dalla vita
e nei nomi di piante che non so
si specchia quest’aria densa
che dà forza alle gambe
e senza orologio, fa indovinare
l’ora esatta delle maree
e gli sviluppi dei solchi
sulla mano sinistra,
mentre, fra la sigaretta e la pietra,
s’assesta il baricentro del corpo
ed intorno, il ritmo del cammino delle donne
sembra una canzone.
La stanchezza del silenzio
Ho mani che hanno asciugato
mille sudori
ed accarezzato il profilo del vento
occhi che hanno traguardato l’orizzonte
sopra un ponte, a Calavedra, Cuneo o
Mostar
piedi stanchi d’esplorare calli e boulevard,
eppure non mi posso fermare,
che tanti sono i versi non scritti,
perduti nella pioggia,
abbandonati in un cortile
che mi rimproverano il tempo
e l’accidia e non rispettano
l’angoscia dei miei sabato mattina
premono sul plesso solare
e vogliono parlare ancora ed ancora,
indifferenti alle cravatte da scegliere
ed alla stanchezza del silenzio
ed inciampando, mi contestano
di non pensare alla Mesopotamia
oppure a te
od a questa poesia,
finita ancor prima di sapere
come andrà a finire.
Poesia scritta di notte come fosse di Federico Garcia
Guarda bene i miei occhi,
guarda questo mondo
di sigarette e sguardi alla
finestra,
guarda questo mio mestiere,
guarda queste mie mani, nervose,
affaticate, guarda i chilometri del mio dolore,
mentre io guardo il tuo
profilo
e rabbrividisco alla rapida successione
dei tuoi sì e dei tuoi no.
Guarda, guarda bene questo
silenzio che esce dalla bocca,
guarda come stona il mio violino
e come ho moltiplicato nel vuoto la notte,
mentre mi volto per cercare
la mia ombra,
ancora triste come
un carro armato abbandonato,
ancora senza più foglietti
nelle tasche,
ancora senza le tue labbra più rosse
del maestrale.
Viaggi di Capodanno (ascoltando Leo Ferrè)
Con il tempo
i ricatti delle lacrime
non bruciano più
(avec les temps
tout va bien)
ti resta indifferente
anche la luce
di Toscana
e la brulla radura
di un molo
non scrive più pagine
di addio
non si aggiustano i conti,
non si pareggiano bilanci
resta il segno meno
è un autunno più freddo
e con memoria più corta
il tempo
e porta diretto all’alba
di un capodanno
palindromo
che, forse, non ricorderai più,
col tempo
come la notte
in cui, sotto il portone,
è rimasta
ad aspettarti la vita
(avèc les temps
tout va bien).
(Poesie di Aldo Oliva)